L'eredità di zia Rosa



Ci tenevo tanto a rivedere Alessandro.
Da anni, per lavoro, mi ero trasferito al Nord e tra una cosa e l’altra, matrimonio e figli compresi, non ero più riuscito a scendere lo stivale e tornare nella mia terra da solo.
Festeggiavo quindi una sorta di emozione paragonabile a chi compie “il cammino” e torna a casa, luogo in cui troppo è avvenuto.
Nascita, crescita, gioco, amicizia, primi amori, perdita, allontanamento.
Ma le radici restano lì, basta dar loro anche pochissima acqua col pensiero che le troverai sempre vive, forti, pronte ad abbracciarti.
Il Sud è come una voglia che hai nella pelle, resterà fino al resto dei tuoi giorni.
Ogni volta era la stessa accoglienza di profumi forti, speziati. L’odore del sale anche nell’entroterra era incredibile, il vento lo trascinava dappertutto spargendolo sulle nostre teste.
Cercavo di reprimere pensieri nostalgici, non servivano.
Allontanarsi per me ha significato crescere, prendermi responsabilità che la mia terra, cullandomi, ha nascosto abilmente, come una madre troppo premurosa.
Ha significato l’amore quello grande, quello per cui ringrazio ogni giorno.
La mia famiglia, senza la quale ora non sarebbe valso tutto questo farsi uomo.

Mentre riflettevo camminando scorsi Alessandro in lontananza.
Ci eravamo dati appuntamento al solito bar sul lungomare, luogo di moltissime serate alcooliche tra amici al chiaro di luna delle sere d’estate.
Mi assalì un groppo alla gola che mandai giù di lì a poco con un abbraccio fraterno misto a degli occhi un po’ umidi.
Alessandro era più o meno lo stesso, non ci vedevamo da dieci anni eppure aveva ancora quell’aria da ragazzone spensierato. Mi sorrideva tutto, compresi gli occhi, era felice come me.
Ci bevemmo un caffè degno di essere chiamato con questo nome, quasi in silenzio, avevamo deciso di passeggiare sulla sabbia e tenere i nostri discorsi per il dopo caffè.
Scavalcammo un cancello, come facevamo di solito e ci trovammo lì davanti al mare.
Respirai come se stessi facendo l’areosol.
Mi guardò e rise di gusto.
- Ti manca eh?
-Sì, parecchio. Ma è un luogo, è solo un  luogo e nei luoghi si può tornare sempre.
Sono tornato per sistemare una questione ereditaria. Unico nipote di una zia che non ha mai avuto figli e a quanto pare ha lasciato anche a me un po’ di cose.
Come stai Alessandro, mi sei mancato tanto! Raccontami dai, che fai? Ce l’hai la fidanzata?
- Caro il mio Nicola… sto bene, come vedi.
Mi barcameno, tu lo sai che qui lavoro non ce n’è, tutto ciò che c’è è sottopagato o in nero.
E io prendo ciò che trovo, ma non riesco ad andare a vivere da solo.
Sto ancora con i miei, a quarant’anni.
E’ triste, lo so.
- Accidenti Ale, temevo una cosa simile. Me ne sono andato per questo, lo sai. Qui non vedevo futuro, ho sentito che se non lo facevo a trent’anni non lo avrei fatto più.
I luoghi ti sequestrano, specie se ci sei nato.
Quelle abitudini, quei gesti, quella consuetudine, quei sapori dati dal sole.
Ci ripiombi non appena varchi il confine tornandoci.
Ma con un’altra consapevolezza ora, credimi.
E l’amore?
-L’amore?
L’amore non c’è. Qui vogliono tutte sposarsi e mettere su famiglia, io non so come si possa mettere su una famiglia senza nulla e quindi non mi ci avvicino nemmeno tanto all’amore.
- Mi dispiace sentirti dire queste cose Ale. Pensi che tu non possa trovare qualcuno che ti ami anche se non sei un buon partito? L’amore non guarda queste cose.
- No, le donne mi si avvicinano, sono io che le tengo un po’ distanti, mi vergogno della mia condizione. Mi piacerebbe cambiare le cose ma non so che fare.
Tu lo sai che ho sempre amato fare il pescatore.
Quando sei partito avevo iniziato a farlo seriamente, mi ero comprato la barca con tutti i miei risparmi, ma mi hanno rifilato una scialuppa di salvataggio bucata.
Aveva un grosso danno che non ho potuto riparare, speravo con qualche lavoretto di riuscire a tirar su quei soldi necessari ma non ci sono mai riuscito anche perché nemmeno i miei navigano nell’oro.
E così, l’ho abbandonata e lasciata morire. Ora è vecchia legna da ardere.
Con lei credo di aver abbandonato anche me stesso…scusami.
Mi sto aprendo come da anni non facevo e mi rendo conto che magari ti aspettavi dell’altro da me.
- Sono felice che tu lo stia facendo, anche se ci siamo sentiti poco in tutti questi anni l’amicizia che ci lega è la stessa di sempre. Mi dispiace solo che tu non mi abbia detto nulla per telefono, magari potevo aiutarti in qualche modo, anche solo esserti di conforto morale.
Magari potevo esortarti a cambiare vita e a salire su da me, in qualche modo avremmo fatto.
Però lo puoi fare anche ora. Verresti?
- Non credo Nicola, i miei genitori hanno bisogno di me. Mi aiutano da anni, vorrei provare ad essere d’aiuto io a loro. Conosci il passato dei miei fratelli…non potranno mai contare su di loro e di lasciarli soli non me la sentirei.
- Devo rientrare, ho appuntamento dal notaio nel pomeriggio e mia madre mi vuole a pranzo, deve imbottirmi per bene. Pare che se non esci da tavola rotolando tu sia “spittittato”.
Da quando non c’è più mio padre le sue uniche gioie sono la Caritas, il sottoscritto e i suoi nipoti.
Però mi tratterrò ancora qualche giorno. Dobbiamo rivederci, magari ceniamo insieme, se sono ancora vivo. Ti va?
- E me lo chiedi?
Andiamo in un localaccio che conosco e offro io, non è alta cucina posso permettermelo. Ti aspetto.

Ritornai a casa inquieto, perfino mia madre se ne accorse e tentò di consolarmi con la caponata fatta come Cristo comanda, la pasta con le sarde, un buon Nero d’Avola e infine un cannolo di Piana fatto la mattina stessa.
Tutto buono da star male ma che non placò la mia inquietudine.
Mamma decise che avevo solo bisogno di un alkaselzer e che un rutto avrebbe risolto ogni questione.
L’ascoltai ripetutamente e cedetti sul divano a digerire come i pitoni.
Per fortuna il notaio mi aspettava nel tardo pomeriggio altrimenti avrei avuto serie difficoltà ad articolare verbo e ossa.
Il paio d’ore che dedicai ai miei peggiori incubi furono intervallati anche dalla preoccupazione che avevo per Alessandro. L’avevo visto proprio giù, probabilmente depresso, ingrassato e trascurato. Magro non era mai stato, il suo quasi un metro e novanta  d’uomo portava a presso anche una mole considerevole, ma se prima l’accompagnava armoniosamente ora la trascinava come un fardello.
Gli anni lavorano le persone, alcune vengono scolpite altre riempite. Chi toglie e chi mette, ma non solo chili, anche esperienze, gioie, successi, delusioni.
Tutto dentro a un corpo, che non è affatto solo un corpo, siamo noi la proiezione esterna di ciò che abbiamo dentro.
Filosofia a parte, ero preoccupato e volevo aiutare Alessandro.
Non sapevo ancora come ma un modo l’avrei trovato.

Mi vestii bene, presi la macchina di mamma e andai a Palermo.
Non potei non notare il leggerissimo traffico che la contraddistingueva. Certe cose sono una sicurezza. Parcheggiai in una zona in cui ero abbastanza certo che avrei ritrovato la macchina un paio d’ore dopo, il parcheggiatore abusivo mi fece l’occhiolino ed io gli allungai una banconota. Era al sicuro.
Mi feci una lunga camminata, come amavo fare in quella splendida città.
Ad ogni passo un particolare che mi era sfuggito, qualcosa che era cambiato, qualche conferma olezzante e tanta tanta bellezza.
Palermo era in ottima forma e io sorrisi compiaciuto.
Arrivai puntualissimo.
Lo studio notarile era situato in un Palazzo d’epoca che levava il fiato, entrai come si entra in chiesa.
Una segretaria dai tratti normanni mi fece accomodare nel salottino e di lì a poco mi disse che il notaio mi stava aspettando.
Venni a scoprire che zia Rosa, unica sorella di mio padre, se la passava davvero bene. Oltre alla casa in cui abitava e che conoscevo bene, ne possedeva una vista mare a Taormina e aveva pure un discreto patrimonio in titoli, obbligazioni e gioielli.
Rimasi basito, mio padre e sua sorella si erano sempre parlati molto poco. Vecchie ruggini familiari che mio padre tenne lontanissime da noi.
Zia Rosa la vidi solo al mio matrimonio, mio padre era già morto e mia madre decise che dovesse esserci anche lei. Fu molto amorevole mi regalò una macchina e all’epoca rimasi stupito, viste le vicende familiari. Da quella volta però non mi scordai mai di telefonarle periodicamente e andarla a trovare non appena atterravo a Palermo. Certo non era un rapporto costante e profondo ma le volevo bene. E credo me ne volesse anche lei, anzi in quel momento apprendevo che me ne voleva molto più di quanto io pensassi.
Mi lasciava tutto con testamento olografo a patto che mi prendessi cura dei suoi quattro gatti, l’unica sua gioia in vita.
Il notaio dopo aver letto il testamento mi guardò e disse:
- È disposto ad accudire i gatti della defunta Sig.ra Greco e promette di occuparsene amorevolmente fino alla fine dei loro giorni?
-Sì.
Risposi.
Mi sembrava di ripetere il rituale di un matrimonio.
Non mi ero mai sposato con 4 felini, casomai avevo una tigre in casa.
Battutaccia che feci mentalmente e mi riproposi di farla a Chiara non appena avessi varcato la soglia di casa con le 4 gabbiette contenenti parte dell’eredità di zia Rosa.
Sarebbe stata felice, amava a tal punto gli animali che raccoglieva tutto ciò che bisognava di cure.
Dalla cavalletta senza una zampa al cucciolo di riccio trovato a bordo strada.
Casa nostra era già uno zoo, cosa volevi che fossero 4 animali in più compreso il sottoscritto?

Uscii dal notaio frastornato, feci la strada a ritroso pestando di sicuro qualche cacca di cane.
Sbagliai anche un paio di volte direzione.
Nel frattempo pensavo, facevo pure rumore. Non era il traffico, ero io.
Affrettai il passo perché mi venne un’idea che dovevo realizzare subito.
Arrivai alla macchina e mi diressi al porto.
A quell’ora era uno spettacolo, i gabbiani mangiavano il resto del pesce sulla banchina, il sole dello stesso colore delle arance, tramontava sulle imbarcazioni creando un panorama che qualsiasi pittore avrebbe voluto catturare in una tela.
Non feci fatica a trovare quello che cercavo.

Due giorni dopo chiamai Alessandro e lo invitai a cena.
- Ma come, non dovevo portarti alla Cambusa? Sempre la solita storia, comandi tu. Va bene, dove ci troviamo?
- Ci troviamo al porto alle 19.
- Alle 19? Guarda che qui non siamo mica al Nord, qui si cena dalle 21 in avanti, amunì.
- Tu non ci pensare alla cena, prima faremo una passeggiata, ti aspetto alle 19.
Puntuale, non come i palermitani. Inteso?

Lo convinsi facilmente e passai l’intera giornata a realizzare il mio intento, nel pomeriggio mi ritenni molto soddisfatto. Feci solo un paio di telefonate a Chiara che ancora non sapeva esattamente tutto e me ne guardai bene di rivelarle la sorpresa finale, quella dedicata a lei.
Mia madre oramai aveva cucinato per l’esercito della salvezza, l’avevo delusa per un paio di pranzi mangiando come uno del Nord ma dopo averle rivelato il mio intento si prodigò anche lei nell’organizzazione.
Degna madre di suo figlio.
Tutto era pronto. A quel punto non vedevo l’ora di rivedere Alessandro.

Arrivò puntuale, con immensa fatica suppongo.
- Amico mio, eccomi qui. Non hai idea degli stratagemmi che ho dovuto inventarmi per non deluderti. Dove andiamo? Da queste parti non si mangia bene, se mi lasciavi fare alla Cambusa si mangiava benissimo.
- Ti porto in un posto in cui la cucina è come quella di mia madre.
- Qui vicino? Scordatela.
- Fidati di me e seguimi, sono certo che ti piacerà.

Fecemmo una passeggiata chiacchierando, rivangando i vecchi tempi, ridendo, scherzando e godendoci i raggi di un sole non ancora estivo.
Arrivati ad un certo punto mi fermai davanti ad una barca ormeggiata.
- Ti piace questo peschereccio Alessandro?
- Certo che mi piace, so di chi è. È di quel vecchio che abita in fondo al paese, Calogero Mancuso.
 È nuovo, guarda com’è bello, ha tutto ciò che serve per fare una bella pesca a strascico…
- Stasera ceniamo qui.
- Ma che dici? Mica è un ristorante.
- Vero, ma stasera lo diventerà.

Salimmo a bordo, Alessandro era confuso.
Lo portai a poppa dove era preparata una tavola con tutto il ben di Dio cucinato da mia madre.
C’era perfino del vino ghiacciato, un Corvo Glicine, per festeggiare un incontro tra fratelli di vita.
A vedere la faccia di Alessandro scoppiai a ridere.
Aveva la bocca un po’ aperta gli occhi sgranati di chi tutto si aspettava all’infuori di questo.
Ed era esattamente quello che volevo.

- Miii Nicola, ma Calogero lo sa??
- Certo che lo sa. Secondo te faccio le cose a caso? Sediamoci dai, facciamo un brindisi.
All’amicizia. A quella cosa bella che se è vera non muore mai. A te, al tuo futuro. Prosit!

I bicchieri tintinnarono, gli sguardi s’incrociarono.
Mangiammo chiacchierando, trasudavamo felicità e avevamo dentro una gioia immensa.

- Caro Nicola, devi dirmi come hai fatto a convincere Mancuso a concederti la barca per cenare qui. Lo sanno tutti che è attaccato alle cose sue, non le darebbe mai per niente. Quanto ti è costato questo scherzo?
- Il giusto Ale.
Lo so, mi hanno parlato di Calogero e ho dovuto trattare, ma è il mio lavoro ricordi? Lo so fare, anche se qui al Sud è stato più ostico. Siamo gente furba. Comunque ho vinto io.
A proposito, i piatti li fai tu. Io ho portato la cena e tu laverai i piatti.
- Ecco, sapevo che c’era la fregatura!
- E vedi di sbrigarti se no stanotte non farai in tempo a buttare le reti in mare…
- Buttare le reti in mare? Ti ricordo che il pescatore non lo faccio più da anni cumpà.
- Da stanotte lo rifarai.
Ti ho comprato il peschereccio. È tuo.

Ho ancora negli occhi la sua espressione tra l'incredulo e il turbato.
Scoppiò in lacrime e io lo seguii a ruota. Mi buttò le braccia al collo che quasi mi soffocò con la sua mole. Piangendo mi ringraziò in tutti i modi, mi promise che ce l’avrebbe messa tutta e che sarei stato fiero di lui. Che avrebbe dato una svolta alla sua vita e che prima o poi mi avrebbe ripagato.
Mi sentii di rassicurarlo sul debito inesistente.
-Un regalo è un regalo, non un prestito. Usalo bene, solo questo vorrei.

Tornai a casa con 3 chili di più, una valigia piena di caciocavallo stagionato, salumi e conserve. Inutile dire a mia madre che avevo già con me 4 gatti in stiva dell’aereo, non volle sentire alcuna ragione e così m’imbarcai come facevano gli emigranti di un tempo, senza spago sulla valigia però.
Chiara mi accolse felice, i bambini mi saltarono letteralmente addosso.
Subito mi riconobbe il ritrovato accento siciliano e palpeggiò le maniglie dell’amore in un sorrisino beffardo.
Io per tutta risposta la baciai e la strinsi a me.
- Ti ha dato nulla tua madre? - Disse Chiara.
- Due cosucce, ho la solita valigia di roba buona, andremo avanti per 6 mesi.
Però mi devi dare una mano a tirar fuori il resto dalla macchina.
- Il resto??

Aprii il bagagliaio e Chiara si rese conto che l’eredità di zia Rosa era ben altro oltre le due case, i soldi e gioielli.
I 4 gatti spaventati balzarono fuori dalle gabbie e si rifugiarono un po’ ovunque. Nel frattempo Chiara aveva in stallo un cucciolo di cane che doveva sistemare, questa era la sorpresa che avrebbe dovuto dire a me non appena rincasato.
Ci guardammo e ci mettemmo a ridere.
-A questo punto si tiene anche il cane! Una sorpresa annulla l’altra amore.- Dissi.
I bambini saltavano sul divano felici, i gatti non avevano ancora capito in che gabbia di matti erano capitati, il cucciolo abbaiava contento.
- Si abitueranno, grazie amore.- Disse Chiara, e si mise a sistemare le conserve, i caciocavallo e i salumi col sorriso sulle labbra e tanto amore nel cuore.