Matrioska



Ero piccola, non so esattamente quanti anni avessi, tra i sette e i dieci.
Andavo qualche volta con la nonna a casa della zia Egle.
Quella casa la trovavo bellissima, in effetti lo era.
Un appartamento in un bel palazzo veneziano a due passi da Rialto.
Mi ricordo la cucina, piccola, dove mia zia cucinava dolci per noi cugini, ricordo in particolar modo le casette di Hansel e Gretel fatte di pasta frolla e glassa colorata.
Una cosa magica per noi bambini che volevamo mangiare tutti lo stesso pezzo di casetta, naturalmente, azzuffandoci per avere la meglio.
Ricordo che la casa era sempre inondata di musica. Pianoforte.
Mia cugina studiava al conservatorio e si allenava ogni giorno, per me era già bravissima.
Ogni tanto entravo nella stanza del pianoforte quando lei non c’era e suonavo qualche nota strampalata, mi piaceva pigiare su quei tasti color ebano e avorio.
Ma non c’ero portata, no. La mia strada non era la musica suonata ma ballata.
Nella stanza da letto di Bianca c’erano svariate bamboline, un sacco di spagnole vestite con quegli abiti colorati e merlettati, nacchere da una parte e ventaglio dall’altra, sorridenti .
Le vedevo brutte già allora.
Poi c’era una grande matrioska, che attirava sicuramente molto di più la mia attenzione.
Ne ero tanto affascinata.
Immancabilmente l’aprivo e cominciavo l’opera di liberazione delle figlie, mano a mano che le liberavo le allineavo vicine alla grande, fino a che arrivavo alla piccola.
Provavo quasi gioia, quell’ultima che arrivava alla luce era come una nascita.
Ma non nasceva solo lei nascevano anche le altre generazioni che la contenevano.
M’immaginavo come una grande famiglia fatta di donne, tutte contenute in una.
La grande madre.
Una contadinona rubizza e felice, un po’ matrona, contenitore di vite che a loro volta custodivano vita su vita.
Questo giocattolo russo è anche un enigma, una forma di comunicazione straordinaria.
Qualcosa che non si svela appieno o che può avere varie sfaccettature, specie in questo momento in cui si parla di figli e filosofia gender mi fa pensare quanto più avanti fossero i russi a cavallo tra l‘800 e il ‘900, che noi nel terzo millennio inoltrato.
Se penso a come siamo in tante dentro di noi, a come non è facile arrivarci dentro, tra emozioni che galleggiano, paure che hanno costruito corazze e sensazioni intrappolate nel cuore.
Ci sono davvero svariati strati prima di arrivare al centro, là dove siamo essenza e dove pochi riescono ad arrivare.
E dove spesso non facciamo entrare.
Il concetto di stratificazione del sé rende la matrioska un’immagine molto frequente in psicologia.
Spesso gli psicoterapeuti ci invitano a «osservare e riconoscere tutte le bambole che ci compongono come persone, mettendole idealmente in fila davanti a noi per poi ricomporre la nostra Matrioska consapevole, integrata, rispettosa di ciò che l’ha resa quello che è».
Mi sento da sempre tante donne in una, una più stronza dell'altra a dire il vero.
Non pensavate mica di essere sole vero?
In fondo siamo solo donne toste.
Ed essere un po’ stronze è solo una caratteristica salvifica.