Il manicomio, l'inferno, e quel calamaio intinto nel cielo



Mi hanno dato un compito dal cielo, come spesso accade da quando ho cominciato questo viaggio.
E’ il compleanno di Alda Merini.
La poesia ha nutrito i miei anni quindi parlare di lei è un regalo, per me.
Un ricordo, poche parole, tante.
Non so mai quante.
La poetessa dei Navigli nasce a Milano il 21 Marzo 1931, un primo giorno di primavera tra una guerra e l’altra. 
Già all’età di 15 anni Alda scriveva poesie.
Sposò in giovane età Ettore Carniti, uomo poco sensibile alla sua vena poetica e indifferente ai suoi interessi culturali, geloso e possessivo.
Le prime due figlie vennero affidate ad un istituto e poi ad uno zio a Torino a causa dei litigi violenti che si vivevano in casa. Causa del primo internamento di Alda fu l’aver scaraventato addosso al marito una sedia mandandolo in ospedale, dopo che l’aveva percossa più volte rientrando a casa da ubriaco.

La sofferenza che provava e l’illusione che cambiasse la porterà ad un periodo di buio creativo in cui non scrisse più, all’interno dell’Ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano.
“Per me è stato un miracolo di Dio essere uscita viva da lì. Ho visto morire tanti ragazzi. Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva nessuno scompariva all’improvviso nel nulla”.
Si alterneranno periodi di rientro in famiglia, durante i quali verranno concepite altre due figlie, a periodi d’internamento manicomiale. Anche loro verranno allontanate dal nucleo familiare, però.
Il rapporto con le figlie sarà sempre complesso, difficile.
Alda vivrà la morte successiva del marito e l’altalenarsi di stati depressivi tali da necessitare altri ricoveri.
Il più brutto, quello che la segnò di più, a Taranto, successivo all’abbandono del nuovo compagno.
Troverà la serenità mai avuta prima dopo il 1986, tornando all’amato Naviglio, dove riprenderà il fermento letterario.

Saranno anni fecondi che conteranno diversi premi letterari e pubblicazioni.
Compresa una laurea honoris causa dall’Università di Messina.
A prescindere dal successo e dal benessere economico sopraggiunto non abbandonò mai la sua vita da clochard, sommersa dagli oggetti, dai libri, dalle foto e dai mozziconi di sigaretta, e la sua casa fu rifugio per molti artisti squattrinati e perdigiorno.
Alda lascia tutti noi il 1° Novembre 2009, tutti quei mozziconi rimasti a terra hanno purtroppo svolto il loro lavoro.
Nonostante tutto ha amato molto la sua vita, l’ha amata godendo di tutto ciò che ha potuto offrirle e donarle, anche le privazioni, che l’hanno resa quello che è stata.
Una grandissima poetessa visionaria.
Ho spesso fatto caso alla sofferenza trasformata in forza creatrice.
L’altra faccia, quella buona, di una brutta medaglia.
“Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio.
Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara.”
Attraverso le sue poesie, i suoi scritti, Alda curava i suoi mali dell’animo.
Sono stati il suo rifugio, il pozzo nero dal quale attingere bellezza, il fiore nato in un campo incendiato.
E le sono infinitamente grata per il suo passaggio su questa terra, non è stata invano, nonostante il dolore.
Proprio attraverso di esso ha potuto rinascere come un’Araba Fenice.
“Io trovo i miei versi intingendo il calamaio nel cielo.”
Ce ne siamo accorti Alda, ce ne siamo accorti.
Buon compleanno, Poetessa dei Navigli.